FSE, questo sconosciuto

europa_bandieraIl Fondo sociale europeo (FSE) fa parte dei Fondi strutturali dell’UE ed è lo strumento più rilevante per la creazione di maggiori e migliori opportunità di lavoro in Europa.
Nel periodo 2007-2013, l’FSE ha investito circa 75 miliardi di euro in tutta l’Unione europea. A questi si aggiungono altri 50 circa in fondi pubblici nazionali.
In sintesi quindi gli obiettivi fondamentali del FSE consistono nel raggiungere la piena occupazione, migliorare la qualità e la produttività del lavoro, ridurre le disparità tra le nazioni e le regioni e nell’ambito dell’occupazione, promuovere l’inserimento sociale (con particolare riguardo agli individui svantaggiati).
È chiaro che, al di là di ciò che la teoria formalmente ci “comunica e informa”, bisogna fare i conti con la praticità della vita reale: qualificare la formazione, investire di più sul capitale umano, migliorare il rapporto fra offerta e domanda diventano i punti fondamentali su cui lavorare, meglio e di più.
In Lombardia per esempio, si è concentrata l’attenzione sui principali fabbisogni emersi da analisi e valutazioni del contesto e da un confronto con le parti socioeconomiche, gli enti locali e gli attori chiave del territorio. Una scelta che consente di rispondere alle reali esigenze del contesto socio-economico lombardo, attraverso la lettura delle opportunità e delle fragilità, individuando una strategia centrata su politiche di contrasto agli effetti negativi della crisi.
Il principale strumento utilizzato dalla Regione Lombardia per assegnare i finanziamenti, in continuità con la precedente programmazione 2007-2013, è la Dote Unica Lavoro che si configura come strumento per l’attuazione delle politiche del lavoro, responsabilizzando il sistema degli operatori accreditati attraverso controlli e valutazione, e promuovendo il partenariato tra gli enti accreditati per creare una rete. Attraverso Dote Unica Lavoro si intende rispondere alle esigenze delle persone nelle diverse fasi della propria vita professionale attraverso un’offerta integrata e personalizzata di servizi. I destinatari sono divisi per fascia di aiuto in relazione alle loro difficoltà di collocazione nel mercato del lavoro, che sono date dall’incrocio delle variabili di età, genere, posizione nel mercato del lavoro e livello di istruzione, e scelgono gli interventi in base alle proprie esigenze all’interno di un paniere unico di servizi di formazione e lavoro, incentivi ed altri interventi personalizzati.
È questo il senso che le Regioni dovrebbero dare ai milioni di euro in sette anni previsti dalla programmazione del Fondo sociale europeo per il periodo 2014-20.
Mi chiedo: cosa fanno le Regioni del sud Italia in tale direzione e in particolare la regione Sicilia?
Se il dovere di ogni Regione è quello di decidere la tipologia e la qualità della formazione da proporre, è in grado di mettere al centro delle decisioni il problema dell’occupabilità?
Bisognerebbe tra l’altro anche investire nel creare un saldo rapporto fra scuola, formazione e università, con il mondo del lavoro”: oltre all’esigenza di qualificare la formazione professionale per qualificare l’offerta e renderla funzionale alla crescita delle imprese dinamiche, esiste quindi la necessità di intervenire sul rapporto fra mondo del lavoro e scuola.
È vero che l’FSE ci offre la possibilità di qualificare i percorsi di istruzione e formazione, ma non basta. Deve esserci la volontà politica di creare degli strumenti declinati sulle esigenze del territorio e capaci di mettere al centro le esigenze dei cittadini piuttosto che quelle delle classi politiche e delle lobbies.

Tecla Bianco di SVS.Impresa

Possiamo credere ancora nella ripresa economica del Mezzogiorno?

Qualche giorno fa, leggo su “La Repubblica” che in tredici anni, dal 2000 al 2013, l’Italia è stato il Paese che è cresciuto meno, +20,6% rispetto al +37,3% dell’area Euro a 18, addirittura meno della Grecia. Non mi stupisco, già da qualche anno sento parlare e discutere di crisi economica.

Questa la fotografia scattata da Svimez nelle anticipazioni del Rapporto sull’economia del Mezzogiorno 2015, che sottolinea come la situazione è decisamente più critica al Sud, che cresce nel periodo in questione la metà della Grecia. Una situazione che Svimez fotografa così: l’assenza di risorse umane, imprenditoriali e finanziarie potrebbe impedire all’area meridionale di agganciare la possibile ripresa e trasformare la crisi ciclica in un sottosviluppo permanente”.

Mi stupisco di ciò, lo ritengo un quadro sufficientemente preoccupante.

Siamo di fronte ad una desertificazione industriale. Nel Mezzogiorno dal 2008 al 2014 il settore manifatturiero ha perso il 34,8% del proprio Prodotto e ha più che dimezzato gli investimenti (-59,3%). La crisi non è stata altrettanto profonda nel Centro-Nord, dove la diminuzione è stata meno della metà.

Cosa fare? Quali strumenti utilizzare per la ripresa economica? Ci possiamo ancora credere? La voglia di rilanciare le proprie aziende e la consapevolezza della necessità di collaborazione tra tutti gli attori del sistema creditizio – imprese, banche, confidi e consulenti – rappresentano uno stimolo. Non c’è dubbio che la voglia di fare impresa trova oggi un grande ostacolo nelle difficoltà di accesso al credito.

Una soluzione auspicabile: utilizzare al meglio gli strumenti agevolativi esistenti.

Parola chiave: accesso al credito e finanza agevolata, strumenti per condurre le imprese fuori dalla crisi e verso una decisa ripresa economica.

In una fase così delicata della gestione aziendale e sulla prospettiva di un rilancio economico, gli strumenti finanziari agevolati giocheranno un ruolo molto importante a supporto delle nostre imprese, sono numerosi e possono venire incontro alle esigenze di quanti operano nell’industria, nel turismo, nel commercio, nel settore agroalimentare, nell’artigianato, sia per dare luogo a nuove iniziative, sia per ampliare e ammodernare le strutture esistenti.

Attendiamo quindi la fine dell’estate, nella speranza che la nuova stagione porti con se nuove e buone opportunità di crescita altrimenti non ci resta che seguire le orme di Alberto e i suoi amici…

 

Tecla Bianco di SVS.Impresa t.bianco@svsimpresa.it

 

Quando e quali misure adottare per rafforzare il capitale?

Il fine principale di un’azienda è quello di soddisfare, nel medio termine, le attese di remunerazione di coloro che, per diversi motivi, gravitano attorno ad essa.

Per raggiungere i propri scopi l’azienda deve adottare una politica di produzione efficace ed equilibrata, investire in innovazione e sviluppo, promuovere i propri prodotti nel mercato nazionale e nel mercato estero. Ma per fare tutto ciò essa deve avere mezzi sufficienti a iniziare e proseguire nel migliore dei modi l’avventura imprenditoriale. In breve le occorre un capitale che deve essere protetto e se possibile implementato.

Occorre quindi che l’impresa abbia una gestione reddituale in cui i ricavi coprano adeguatamente i costi derivanti dall’acquisizione dei fattori di produzione ed una gestione patrimoniale in cui vengano combinati in maniera ottimale gli investimenti e le fonti di finanziamento.

Il suggerimento che si potrebbe dare all’imprenditore (e ribadisco “si potrebbe” perché qui il condizionale è d’obbligo, in special modo quando il capitale è poco o insufficiente) è di lavorare sulla redditività e quindi sul cash flow. Ma la maggior parte degli imprenditori probabilmente risponderebbe che, in periodi di crisi come quello che stiamo attraversando, di denaro all’impresa ne rimane (se ne rimane) ben poco, mettendo in pericolo la “sopravvivenza” stessa del capitale.

Sostenere la competitività delle PMI è quindi indispensabile per crescere e ritornare a competere.

Ma quali misure adottare per rafforzare il capitale delle imprese e in particolare delle PMI?

La risposta è ovvia ma non banale: occorre mettere in atto immediatamente politiche di “sburocraticizzazione” delle procedure di produzione e di esportazione, e agevolare e promuovere il “born in Italy” a dispetto del “made in Italy”.

Utile (se non indispensabile) sarebbe cancellare dalle “liste nere” le posizioni debitorie in “incaglio” delle aziende intrinsecamente sane che dimostrano concreta volontà di rientro in termini ragionevoli (per l’imprenditore).

Salvatore Marano di SVS.Impresa

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Accesso al credito per le pmi in tempo di crisi

Nonostante le continue rassicurazioni da parte del Governo sulla imminente ripresa della nostra economia, le imprese (che evidentemente non vedono i telegiornali) si sentono abbandonate a se stesse.

Nuove tasse esose e irragionevoli, la mancanza di politiche sostanziali di aiuto alle imprese, una contrazione dei mercati interni dovuta a una sempre minore circolazione di denaro unite a una sempre minore propensione delle Banche a concedere credito, creano gravi difficoltà alle imprese e spesso portano le stesse al fallimento o alla vendita a investitori stranieri che, approfittando dello stato di necessità dei nostri imprenditori, le acquistano per un tozzo di pane con buona pace dell’imminente ripresa.

In un tale quadro economico si rende indispensabile un incremento delle forme di sostegno al finanziamento alle imprese e alle famiglie alle quali, è facile prevedere, si farà sempre più ricorso nei prossimi anni.

Il Fondo Centrale di Garanzia per le pmi e il Plafond pmi della Cassa Depositi e Prestiti hanno attivato un volume importante di finanziamenti e gli strumenti messi a disposizione sono stati oggetto di continue modifiche e miglioramenti per venire incontro alle mutevoli esigenze delle imprese in uno stato di crisi costante.

Il decreto “Salva Italia” ha previsto un potenziamento del Fondo e quindi delle risorse messe a disposizione degli Istituti di credito al fine di offrire un sostegno stabile e concreto al sistema produttivo, ma le banche (che non brillano per spirito filantropico pena il fallimento del sistema) ringraziano e continuano a mantenere una politica del credito prudente e risparmina.

Ma forse non hanno tutti i torti (non averli tutti i torti non vuol dire non averne nessuno), infatti a cosa serve prevedere forme di garanzia del credito alle imprese se poi le imprese, specialmente le medie e le piccole che operano nel mercato interno non sono messe nelle condizioni di vendere il loro prodotto perché chi dovrebbe comprarlo non ha i soldi per pagarlo?

Bisogna comunque, per amore di verità, ammettere che quando il sistema bancario e/o le associazioni di imprese e di consumatori sono stati coinvolti nella definizione delle regole di funzionamento o nella gestione dei vari strumenti di garanzia del credito essi sono stati meglio recepiti e più spesso applicati.

Gli interventi che hanno avuto maggior successo sono stati spesso rivisti nel corso della loro applicazione. Si potrebbe quindi prevedere un meccanismo di monitoraggio che ottimizzi in corso d’opera eventuali inefficienze nel funzionamento delle agevolazioni.

Tuttavia, i rigidi vincoli dei bilanci bancari e una innata disposizione degli Istituti di credito a pensare sempre e comunque solo in termini di immediato profitto “costi quel che costi” (naturalmente alle imprese) hanno limitato di fatto l’efficacia delle iniziative.

Salvatore Marano di SVS.Impresa

Come recuperare ciò che la banca vi ha sottratto

Svs.Impresa è costituita da un gruppo di professionisti con un’approfondita conoscenza delle tematiche bancarie, imprenditoriali e tecnologiche che offre servizi di Studio & Consulting alle pmi. Tra i servizi offerti quello dell’assistenza bancaria e, in particolare, il recupero degli importi pagati in più sulle esposizioni bancarie, così come disciplinato dalla legge 108/96. Di questo servizio parliamo con Salvatore Marano, socio di Svs.Impresa.

Dottor Marano, in cosa consiste questo servizio?

“Un’azienda che ha ottenuto un fido, un mutuo o un prestito da una banca, può essere, inconsapevolmente, vittima di usura bancaria”.

In cosa consiste l’usura bancaria?

“Si tratta di una forma subdola di usura. È il risultato di un tasso superiore a quello massimo stabilito dalla legge. Il costo del denaro  infatti si determina non solo calcolando il tasso in senso stretto, ma aggiungendo a esso anche spese e commissioni che una banca fa pagare e che apparentemente non rientrano nel tasso di interesse”.

Cosa prevede la legge?

“La legge 108/96 prevede che alla determinazione del tasso effettivo di interesse concorrono spese e commissioni come in essa stabilito. Troppe volte un’azienda crede di pagare un certo tasso di interesse, ma in realtà ne paga uno superiore, perché all’interesse dichiarato dall’istituto di credito non sono state sommate le spese e le commissioni per l’utilizzo del credito. Se la somma di questi tre elementi supera il limite previsto dalla norma ci troviamo in presenza di usura bancaria”.

E nel caso venga accertata l’usura bancaria cosa succede?

“Succede che è possibile intentare un’azione di recupero di quanto non dovuto dalla Banca”.

E come si fa?

“Occorre rivolgersi a professionisti del settore e verificare i propri conti correnti”.

Svs.Impresa offre questo servizio. Come funziona?

“Ci sono tre fasi: in un primo momento Svs.Impresa analizzerà i conti correnti dell’azienda per verificare che vi siano state anomalie”.

Cosa si fa per effettuare questa verifica?

“Occorre un’analisi degli estratti conto trimestrali di due anni, possibilmente non consecutivi, compresi di scalare”.

Se ci sono anomalie si passa alla seconda fase.

“Esatto. Se dall’analisi dei conti correnti vengono riscontrati tassi anomali si realizza un piano del possibile recupero, si evidenziano le probabilità del recupero e le opportunità di intraprendere un’azione”.

Infine, la terza fase. Quella dell’azione di recupero.

“Esatto”.

Voi siete sempre al fianco dell’azienda?

“Si, a fianco dell’impresa e a fianco del legale che l’imprenditore vorrà nominare sino alla eventuale transazione con la Banca o alla sentenza”.

E tutto questo quanto costa all’impresa?

“La prima analisi è gratuita. La seconda ha un costo minimo, perché Svs.Impresa scommette sulla buona riuscita del procedimento. Non verrà quindi più chiesto altro pagamento fino alla conclusione della pratica”.

E quando la pratica è conclusa?

“Se la pratica di recupero va a buon fine Svs.Impresa viene ricompensata, come stabilito in contratto, se la pratica non va a buon fine null’altro le è dovuto”.

Detto così sembrate dei benefattori.

“Assolutamente no. Vogliamo soltanto sia ben chiaro al cliente che il nostro unico interesse è metterlo nelle condizioni di vincere la sua battaglia. Infatti, in caso contrario non avremo guadagnato praticamente nulla”.

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Banca d’Italia centrale dei rischi

La Centrale Rischi (CR) di Banca d’Italia nasce con l’intento di raccogliere le informazioni fornite mensilmente dalle banche e dagli altri intermediari finanziari sui crediti concessi e metterle a disposizione dei soggetti abilitati (banche, intermediari, diretti interessati, Magistratura penale).

Le banche e gli altri intermediari sono tenuti inoltre a comunicare con tempestività anche informazioni di tipo qualitativo (nel senso che esse non contengono importi) quali passaggi a sofferenza, ristrutturazione di una o più linee di credito; regolarizzazione dei ritardi di pagamento.

Queste notizie servono in particolare alle Banche e agli intermediari finanziari per meglio valutare l’affidabilità creditizia di chi vuole accedere ad un finanziamento e aggiornare il merito creditizio della propria clientela.

Lo scopo è quello di:

– permettere a Banca d’Italia, (quale organo di vigilanza e di controllo) di monitorare ed aggiornare costantemente lo stato del credito

– aiutare gli intermediari a migliorare la qualità del portafoglio crediti.

La clientela “meritevole” otterrà un più agevole accesso ai finanziamenti e Il miglioramento complessivo della gestione del rischio di credito contribuirà a rafforzare la stabilità del “Sistema”.

Tutto bene quel che finisce bene quindi, i buoni (pagatori) sono premiati, i cattivi puniti. Com’è giusto che sia!

E quasi tutti vissero felici e contenti, tranne forse quell’imprenditore, che a causa delle lungaggini burocratiche e della congiuntura sfavorevole ha ritardato il pagamento di quanto dovuto alla sua Banca quel tanto che basta per essere “segnalato” in “CR”.

E tutti ormai lo sanno e a nulla vale la sua capacità di fare impresa, ché un sistema rigido e intransigente lo ha bollato, macchiato, unto a prescindere.

Sarebbe forse il tempo di inserire fra i criteri di valutazione anche una “griglia” che valuti le qualità dell’imprenditore (per esempio serietà, professionalità, capacità innovativa, progettualità). Ne avrebbe giovamento l’imprenditore ma anche il sistema creditizio e finalmente daremmo un senso, un volto e un’anima alla nostra Impresa.

Salvatore Marano di SVS.Impresa
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Oneri senza onori

È arcinoto e arcisaputo, da chi fa il mestiere bruto dello (fesso) imprenditore, che in Italia c’è uno Stato, che se rischi per lo fare, e non parli per parlare (come fanno assai persone), lui ti impone di pagare quello che vi sto per dire:
dieci tasse per aprire, mille tasse per campare, (e se azienda ti va male cento tasse e puoi morire!).

Per aprire non c’è sconto, quel che vogliono Vi conto:
che il mio Nonno sia educato, che io non faccia cose strane (per esempio respirare), che non metta dito al naso, che non abbia mai sbagliato e che tutto abbia pagato (pure se non ho incassato quanto a me deve lo Stato).

E poi aspetta che ti danno lo permesso a cominciare. (Senza tema posso dire che fu cosa assai più lesta, che crescesse, sopra i monti, verde e grande una foresta).

E poi infine c’è l’inizio e la fabbrica si accende! È un gran giorno, finalmente! Che si faccia tutti festa.

Ma se un tempo giunge crisi, cassa langue e non si vende, paghi uguale a questo Stato (che se no piange e si offende).

Con le banche è un matrimonio. Baci, abbracci e tanti fiori (specialmente crisantemi) per non dire a lor signori che interesse, che attenzioni!

È una storia tanto triste come un po’ tutte le fiabe.

Ma c’è un principe (o un ranocchio?) che si è imposto a comandare. Un figliolo di Toscana. Lancia in resta e tanto ardore. Certo Renzi da Firenze.

Noi speriamo che la faccia questa lotta per cambiare. Che finiti son li soldi e li sogni di campare.

Salvatore Marano di SVS.Impresa
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A proposito di crisi

Signori lettori che avete la pazienza di leggermi, ho il piacere di comunicare (ai pochi di voi che ancora non lo sanno) che la nostra economia ha registrato una crescita dello 0,1%. Lo hanno detto alla televisione!

A questo punto penserete che se i disoccupati aumentano e gli imprenditori continuano a suicidarsi è solo perché non vedono i telegiornali.

Ebbene no, devo smentirvi, nonostante questo grasso e grosso “zerovirgolaunopercento” siamo ancora in crisi!

E viene una gran voglia di fermarsi. Di sedersi ad “aspettare Godot”.

Ma arriverà mai questo fantomatico Godot?

Che io sappia no (me lo ha confidato un certo signor Beckett).

E allora, credo che non ci resti che rimboccare le maniche (per quelli che una camicia ancora l’hanno) e darsi da fare.

Del resto Einstein, al quale non difettavano intelligenza e capacità speculativa, parlava della crisi come opportunità, stimolo necessario al progresso e alla crescita individuale e sociale.

La crisi secondo Einstein (grande scienziato) produce ansia, l’ansia è madre della creatività, la creatività porta alla scoperta e la scoperta porta al progresso. Il progresso porta al superamento della crisi e quindi alla rinascita e la rinascita finalmente assicura un periodo più o meno lungo di serenità.

Ma la serenità, aggiungo io (piccolo laureato in “scienze politiche”) è un sentimento che col tempo si consuma e quando meno te lo aspetti finisce. Ci vuole quindi una nuova crisi che porti nuova creatività e scoperta e progresso e rinascita.

E quindi di nuovo serenità e poi di nuovo crisi. E la crisi costa così tanto, in termini umani ed economici, che non farne tesoro (e prepararsi alla crisi successiva) sarebbe uno spreco immenso, che si andrebbe a sommare ai danni che essa stessa produce copiosi.

Al lavoro quindi, a cercare insieme soluzioni e vantaggi. Ad inventarci il giorno. A lavorare anche la notte per sostenerci sulle nostre gambe. E mentre lavoriamo c’è chi continua a danzare la cieca danza dell’incoscienza, ma poco ci interessa, noi comunque viviamo (di loro non potrei dire lo stesso).

Salvatore Marano di SVS.Impresa
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Rating: le banche danno i numeri!

Con Basilea 2 è stato introdotto un sistema che differenzia oggettivamente i crediti per classi di rischio.

Il “Comitato” ha inoltre pensato di dare un punteggio (definito rating) sulla capacità (merito creditizio) di una impresa di restituire il credito. Più alto è il punteggio minore è per la banca la capacità dell’impresa di rispettare gli impegni presi o da prendere con il sistema creditizio, le probabilità, quindi, che essa venga finanziata diminuiscono.

Ma quali sono i parametri utilizzati per assegnare il rating?

Innanzitutto viene analizzata la situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell’impresa, al fine di valutare la sua capacità di indebitamento. Il livello di indebitamento infatti deve consentire di mantenere livelli di redditività soddisfacenti e una struttura finanziaria e patrimoniale equilibrate.

Viene poi valutata la capacità reddituale del settore di appartenenza dell’impresa e le dimensioni in relazione all’ambiente di riferimento.

La banca a cui viene fatta la richiesta di affidamento tiene conto dell’andamentale storico, in taluni casi anche dei clienti, per esempio degli assegni e degli effetti insoluti e della propensione allo sconfinamento in genere.

Sarà interrogata inoltre la Centrale Rischi Banca d’Italia per sapere qual è l’indebitamento con il sistema in genere e se vi sono segnalazioni negative.

In “soldoni” (il termine mi pare appropriato) oggi molto spesso lo sviluppo o addirittura la sopravvivenza stessa di un’azienda dipendono da un numeretto che è il risultato di una valutazione di fattori in massima parte oggettivi. Poco importa (troppo poco) che tu nel passato abbia sempre dimostrato ottime capacità imprenditoriali, poco importa se la causa dell’eccessivo indebitamento aziendale sta proprio nel costo eccessivo del denaro.

Se l’impresa viene promossa (cosa oggi sempre più difficile), le viene assegnato comunque un punteggio. Se il punteggio è alto, come abbiamo già detto, l’affidabilità creditizia è minore e maggiore sarà il costo del credito.

In parole povere, è come dire che permettiamo l’accesso al mare (del credito) ai “cattivi nuotatori” ma a condizione che nuotino soltanto dove l’acqua è alta e poi ci meravigliamo quando annegano.

Mi viene da pensare: non è che questo rating lo hanno inventato gli squali?

Salvatore Marano di SVS.Impresa
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Storia di Mario e Banca Z.

Gennaio 2014, un giorno qualsiasi di una qualunque città italiana.

Dal tono della lettera si evince che Banca Z. è davvero preoccupata e chiede a Mario di venirla a trovare con la massima urgenza, ha cose importanti da dirgli.
Mario, cinquantenne imprenditore, si chiede cosa possa essere successo e percorre la strada che lo separa da Lei come un automa e mille pensieri gli passano per la mente.

Conosce Banca Z. dal 2005 e da allora non si sono mai lasciati, ci sono stati alti e bassi, momenti di incomprensione, malintesi, ma alla fine hanno prevalso la fiducia e la voglia di stare insieme.

Ma dopo il suo secondo incontro con Basilea, Banca Z. ha cambiato atteggiamento e da allora pretende che Mario Le dia sempre di più.

Mario è molto legato a Lei, da tempo ha smesso di frequentare le altre (troppo rischioso e costoso) e Le è assolutamente fedele. Le dà tutto quello che ha, anche a discapito di “Equitalia” e “Iva” (compagne di una vita) che gelose e infide come sono un giorno gliela faranno pagare.

La crisi sta falcidiando il suo patrimonio e nel momento in cui Lui avrebbe bisogno di essere ascoltato e capito, Banca Z. null’altro vuole dargli e minaccia di interrompere la loro relazione.
Del resto lo sanno tutti che Lei intrattiene soltanto rapporti di interesse (e che interesse!).

È pur vero che dare credito incondizionatamente ha spesso portato sofferenza a Banca Z.

Mario posteggia l’auto, pensa al bollo che non ha pagato, all’assicurazione che scadrà fra pochi giorni. Gli operai li ha messi in cassa integrazione, ha “svenduto” la casa al mare e la motocicletta a cui teneva tanto. Adesso ha ben poco da offrirle e Lei non è tipo da accontentarsi.

Ed eccolo lì a cercare di giustificarsi, a chiederle tempo per cambiare, a supplicarla di dargli un’ultima possibilità.

Banca Z. rimane fredda, impassibile, pare avere già dimenticato quello che Mario Le ha dato in tutti questi anni e Mario perde la pazienza, grida il proprio dolore, impreca, ma non c’è niente da fare, è finita!
Fuori ad aspettarlo una pioggia fitta e fredda. Adesso dovrà cavarsela da solo. Sicuramente un grosso problema ma anche una grande opportunità.
E Banca Z. forse un giorno capirà che la sua vita senza Mario non ha alcun senso.

Salvatore Marano di SVS.Impresa
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